
TITOLO: Villa Badoer detta “La Badoera”
COMUNE: Fratta Polesine, via G. Tasso, 1
DATAZIONE: metà del XVI secolo
DESCRIZIONE:
Villa Badoer sorge al centro di Fratta Polesine, lungo l’argine destro dello Scortico. In corrispondenza dell’accesso alla villa si trova un ponte che collega la zona di Fratta a est dello scortico e la zona ad ovest.
La villa fu fatta costruire da Francesco Badoer e commissionata all’architetto padovano Andrea Palladio. Francesco Badoer discendeva da una delle più antiche e nobili famiglie veneziane e a seguito del matrimonio con Lucietta Loredan, ricevette in dote l’ampio fondo della Vespara che apparteneva alla famiglia da alcuni decenni. La villa doveva affermare il prestigio economico e sociale della famiglia Badoer, aveva la funzione di avamposto da cui amministrare le proprietà terriere, mentre la valenza estetica dell’edificio rimarcava la prestigiosa presenza della famiglia nel territorio. Inoltre si pensa che venne fatta costruire da Francesco Badoer anche in memoria dell’amicizia giovanile con il cognato Giorgio Loredan, con il quale aveva preso parte alla Compagnia della Calza a Venezia e che era prematuramente scomparso. Non è certa la data di costruzione ma nel 1557 la villa doveva essere in costruzione. Il progetto della villa compare nei Quattro Libri del Palladio del 1570, dove è rappresentata con alcune differenze rispetto alla configurazione odierna.
A differenza delle altre ville palladiane, villa Badoer non è inserita in uno spazio aperto ma piuttosto in un contesto urbano, anche se ha ad oggi perso il suo contesto originario, essendo di molto mutato l’ambiente circostante. La villa sorgeva infatti nel Cinquecento in una posizione di prestigio, sopraelevata rispetto al canale Scortico che quasi la lambisce. Lo Scortico costituiva una via di percorrenza dalla forte valenza economica, essendo navigabile fino a Venezia e a Ferrara. La villa nel corso del tempo ha influenzato lo sviluppo del centro urbano, costituendone il fulcro e il punto di aggregazione.
La villa fu realizzata probabilmente sfruttando alcune strutture precedenti, pertinenti ad un castello medievale. La casa padronale sorge al di sopra di un ampio basamento e vi si accede attraverso una scalinata a più rampe. Dalla scala principale partono due scale laterali che congiungono la villa alle due barchesse curvilinee, separate dall’edificio principale. Le barchesse curvilinee sono le uniche realizzate dal Palladio. Sul retro della villa doveva trovarsi originariamente il giardino, che oggi consiste in prato. Anche il cortile antistante alla villa è oggi un ampio prato, al centro del quale si trovano le statue di Nettuno e Anfitrite. La proprietà è cinta da un muro in laterizio, sul quale si aprono due accessi. Il primo collegava la villa alla strada posta ad est, mentre il secondo, sul lato opposto, conduceva al fondo agricolo un tempo connesso alla residenza. Nel corso del tempo l’esigenza di innalzare gli argini dello Scortico ha alterato il rapporto tra la villa e il territorio. Il muro di cinta celava infatti in origine la villa dalla vista di chi passava, mentre ad oggi è parzialmente interrato, risultando molto più basso e divenendo così quasi una recinzione. Dai catasti antichi risulta che altri edifici un tempo facevano parte del complesso, oggi appartenenti ad altre proprietà. Tra questi vi è Villa Franceschetti, che venne fatta costruire nel Settecento dai Mocenigo come casa del fattore.
All’interno la casa padronale è suddivisa in tre piani, al piano terra si trovano gli ambienti di servizio, il primo è il piano nobile, mentre nel sottotetto doveva inizialmente trovarsi il granaio, poi adibito a spazio abitabile nel Settecento. Gli ambienti del piano nobile, in particolare del salone centrale, sono decorati da un ciclo di affreschi, opera del pittore toscano Giallo Fiorentino, come ricorda lo stesso Palladio. Le immagini sono incentrate su tematiche mitologiche e allegoriche legate alla committenza e al territorio e celebravano l’amicizia fra i Badoer e i Loredan. Le pitture risultano oggi molto rovinate poiché alla fine del Seicento furono picchiettate con martello e scalpello per far aderire meglio alle pareti uno strato di intonaco, i successori di Francesco Badoer avevano probabilmente perso il ricordo del significato degli affreschi e decisero di coprirli.
Il complesso non si discosta di molto dal progetto originale di Palladio. Alcune modifiche furono realizzate nel Settecento quando la villa divenne proprietà della famiglia Mocenigo a seguito della morte, nel 1678, dell’ultimo erede dei Badoer. Ancora oggi sulla facciata è visibile lo stemma di questa famiglia. Le trasformazioni dell’edificio dovevano soddisfare le nuove esigenze: i granai all’ultimo piano furono adibiti ad ambienti abitativi, i soffitti del piano nobile furono abbassati e le ali laterali furono allungate. Nell’Ottocento la proprietà giunse alla famiglia Dalvecchio che attuò alcune altre modifiche minori. Negli anni ’60 del Novecento infine l’Amministrazione Provinciale di Rovigo e l’Istituto Regionale per le Ville Venete promossero un ampio restauro del complesso, riportando in luce i tratti originari della villa e all’interno gli affreschi che nel tempo erano stati coperti. Dal febbraio 2009 le barchesse settentrionali della villa ospitano il Museo Archeologico Nazionale di Fratta Polesine.
INFORMAZIONI E CONTATTI:
Il sito è gestito da “Aqua. Viaggi e Natura Tour Operator”. Visitabile dal 1° novembre al 28 febbraio: sabato, domenica e festivi dalle ore 9.30 alle ore 12.30 e dalle ore 15.00 alle ore 18.30.
Dal 1° marzo al 31 ottobre: sabato, domenica e festivi dalle ore 10.00 alle ore 12.30 e dalle ore 15.00 alle ore 19.00.
Sito web: www.aqua-deltadelpo.com/cosa-vedere/oasi-e-centri-visite/villa-badoer-fratta-polesine
Telefono: +39 366 3240619
BIBLIOGRAFIA: Rovigo e la sua provincia. Guida turistica e culturale. II edizione aggiornata, Rovigo, Amministrazione provinciale, 2003, p. 174; Bruno Gabbiani (a cura di), Ville Venete: la provincia di Rovigo. Insediamenti nel Polesine, Venezia, Istituto regionale per le ville venete Marsilio, 2000, pp. 161-163; Camillo Semenzato, Le ville del Polesine, Vicenza, Neri Pozza, 1975, pp. 45-49.